di Redazione #Milano twitter@gaiaitaliacomlo #Teatro
Dopo il fortunato esito de Il Mercante di Venezia, la compagnia Idiot Savant si misura con un altro famoso testo shakespeariano: “Sogno di una notte di mezza estate” che debutterà al Teatro Fontana di Milano il 5 giugno (con repliche sino al 24), nella traduzione, adattamento e regia di Filippo Renda, giovane regista under 30, al quale Elsinor/Teatro Fontana affida questa seconda produzione che segna così una seconda tappa di uno studio sulla lingua e sui contenuti del Bardo inglese.
In scena Matteo Gatta, Mauro Lamantia, Beppe Salmetti, Mattia Sartoni, Irene Serini ai quali si aggiungono Laura Serena, Astrid Casali, Aurelio De Virgilio, Luca Oldani, Ester Spassini.
È la Londra di fine anni ’70 a fare da sfondo a questa edizione del Sogno come ambientazione e contenitore per il dipanarsi della narrazione.
Gli anni ’70 hanno rappresentato un momento di tensione e collasso della società non solo londinese: in Italia i movimenti studenteschi, sempre più armati e militanti, gettarono il paese in uno stato di perenne allarme. Si trattava, in sostanza, di un bisogno di distacco generazionale con la classe che aveva fatto le guerre, di un processo edipico a priori, cioè spesso senza alcun movente manifesto.
La stessa cosa accadeva a Londra nel mondo dell’arte: i giovani dichiaravano il proprio disgusto per i vecchi in bombetta con la musica e non con le armi. Nascono il Punk, l’Art Rock e il Glam Rock, espressioni musicali che eliminano a priori tutte le convenzioni imposte dai padri: l’ambiguità di genere, l’androginia diventano uno strumento per fuggire dalla Legge del Padre.
Quella stessa legge – quella ateniese – da cui i quattro innamorati scappano, per rifugiarsi nel luogo – la Foresta – in cui tutto è permesso, in cui le dinamiche umane non sono determinate da sovrastrutture patriarcali, in cui gli Spiriti non hanno sesso o li hanno entrambi.
La foresta è qui un luogo oscuro – scrive il regista Filippo Renda – in cui le sovrastrutture umane sono bandite, in cui non si obbedisce alla Legge, e l’androginia, l’ambiguità – o indifferenza – di genere regnano sovrane; in questo luogo cupo le coppie di innamorati perderanno il proprio partner e, per un attimo, anche se stessi.
Qui la Magia, il Rito e il Sacro sono reali e tangibili: i quattro spiriti (Oberon, Puck, Titania e Fiordipisello) sono quattro figure demoniache che utilizzano il misticismo per gettare la Foresta nel caos anarchico.
Sogno di una notte di mezza estate si presta bene a tradimenti e incursioni perché ricco esso stesso di contaminazioni, di suggestioni provenienti da diverse fonti, di echi di altre epoche.
In questo testo in particolare si compie l’incontro perfetto tra la struttura delle commedie shakespeariane – fatte di contrappunti, cinica dialettica, costruzione millimetrica e a tutto tondo dei personaggi – e i temi delle opere legate all’Inghilterra medievale, come Macbeth o Amleto: drammi cupi, dove la violenza affonda le sue radici nella narrazione e il rapporto col mistero è diretto, la magia parte della vita dell’uomo.
La prima scena del primo atto contiene infatti un nucleo violento: Teseo, uno dei padri fondatori della democrazia ateniese, ha rapito con la spada Ippolita, la regina delle Amazzoni, un popolo che ha scelto per sé la via della castità e del culto di Artemide. Teseo la strappa da quel mondo e la costringe a divenire sua sposa. Non si preoccupa dei desideri di lei, come, d’altronde, nessuno degli altri personaggi “cortigiani”. L’intreccio degli innamorati diventa così uno scontro tra persone che non sono in grado di compiere una scelta, ma che pensano piuttosto di poter di decidere sulla libertà erotica altrui.
Perfettamente intrecciata con la trama centrale, la mini-trama vede protagonisti un gruppo di artigiani – in questa versione minatori – che, durante una sorta di dopolavoro, ha formato una piccola compagnia filodrammatica e adesso si prepara a mettere in scena uno spettacolo da proporre al gran cerimoniere di Teseo per le nozze con Ippolita. Il testo non è bello, gli attori non sono bravi, ma la compagnia ha una caratteristica che la rende commovente: ha fede. Ha fede nel potere di trasfigurazione del Teatro, grazie al quale l’interprete può realmente fuggire dalla propria misera vita, e divenire principe, signore o, perché no, bestia feroce. I comici rappresentano il fulcro emotivo del testo, che divide il mondo in due: chi è in grado e chi non è in grado di credere al di là di ciò che è manifesto e razionale.
(29 maggio 2018)
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