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Mobilità sanitaria. Un giro d’affari che, secondo i dati 2023 della conferenza delle regioni, sfiora i 4,6 miliari di euro

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di Massimo Mastruzzo*

Il fenomeno di mobilità sanitaria passiva che vede sempre un pellegrinaggio da Sud a Nord, altro non è che un modo per continuare a fare utili sottraendo risorse al Sud, basti pensare al debito che le Regioni meridionali hanno nei confronti di quelle del Nord, per comprendere, senza dover essere dei luminari dell’economia, chi ci guadagna e chi ci perde dal fenomeno della mobilità sanitaria, e del perché faccia comodo questo status quo. Per capire che qualcosa che non va, per non dire di marcio, basterebbe ricordare il “metodo Falcone”, un metodo che ha fatto scuola nel mondo al punto che le Nazioni Unite lo hanno fatto proprio: «Segui i soldi, troverai la mafia».

Giovanni Falcone capì che occorreva “seguire il denaro” per ricostruire i business mafiosi. Un metodo rivoluzionario, utilissimo anche oggi.

Il paragone può apparire esageratamente azzardato, eppure la similitudine nell’uso del potere, per il controllo del territorio, rende il paragone meno azzardato di quanto possa apparire.

Anche perché a guadagnare di più sono soprattutto le strutture private accreditate.

La correlazione tra reddito medio pro-capite più alto e lunghi tempi d’attesa della sanità pubblica, fa sì che il cittadino “più ricco” tiri fuori “la cento euro” e si rivolga al privato. Senza contare il diffondersi delle assicurazioni sanitarie ormai fortemente consigliate a dipendenti pubblici e privati.


DATI MOBILITÀ SANITARIA 2023

La Calabria è in cima alla  lista (-294 mln) seguita da  Campania (-285 mln), Sicilia (-221 mln), Puglia (-198 mln),  Abruzzo (-90 mln),  Sardegna (-82 mln), Basilicata  (-71 mln). Soldi che se non esistesse un divario enorme nella Sanità tra le due parti d’Italia, potrebbero servire per potenziare i Sistemi regionali del Mezzogiorno, ridurre le liste d’attesa da Nord a Sud, e aumentare le risorse umane di medici e operatori professionali nel settore pubblico.

Purtroppo la riforma del Titolo V del 2001 con il regionalismo sanitario e la legge recente sulla Autonomia differenziata sommate al PNRR che sarà utilizzato principalmente nel Nord, difficilmente si riuscirà a colmare le differenze, infatti le ricerche in campo sanitario prevedono un declino irreversibile del Sud. La ribellione a questo incostituzionale status quo, con la abrogazione della legge Calderoli e la controriforma del SSN che riporti la salute di tutti i cittadini sullo stesso piano senza disuguaglianze territoriali o socioeconomiche, è l’unica via d’uscita per garantire l’equità sanitaria ovunque un cittadino italiano sia residente e a prescindere dal reddito pro-capite del territorio.

 

* Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale

 

 

 

(22 settembre 2024)

©gaiaitalia.com 2024 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 

 



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