di Giovanna Di Rosa
E’ sempre quel famoso metodo al quale accenniamo spesso, con sprezzo del pericolo, e ci scuserete il sarcasmo, che sembra fatto di abitudini che lentamente si insinuano nel silenzio generale, e quando deflagrano sono ormai consuetudine, chi ha visto ha taciuto e poi è tutto un cosa ci potevo fare io ho fatto quello che potevo. E troppo spesso quello che potevo equivale a non avere fatto niente.
A pensarci bene è persino esilarante tutto questo casino delle tifoserie ultras che quelli che sanno scrivere descrivono come “un universo a sé, da sempre”, mica un luogo non fisico dove ognuno fa un po’ i cazzi suoi, vende biglietti e ci lucra, e ci farebbe anche serbatoio di voti se ne avesse voglia. No, è un universo a sé che “vive di regole proprie, segue codici del tutto anomali e, molto spesso, incomprensibili per chi non ha mai fatto parte di quel mondo”. Che scritto così sembra persino bello. E invece è uno schifo. Sarebbe anche ora di dirlo, voi che fate i giornaloni mica noi coglioni da editoria indipendente.
Però poi a guardarlo bene quel mondo lì fatto di razzismo, omofobia, maschilismo, ignoranza, violenza, protervia, piccoli lucri, piccola delinquenza, disperazione sociale, omicidi che ora scopriamo anche essere qualcosa di molto (troppo) vicino a certa malavita organizzata, non è mica roba da niente se è vero, come scrive un interessante articolo di SkyTG24 (mica pericolosi comunisti) che “il bacino di tifosi radicali non è propriamente piccolo”. L’articolo cita infatti un “documento del 2020 della direzione centrale anticrimine della polizia di stato” che quantifica “in circa 40mila gli appartenenti a gruppi e gruppuscoli della galassia ultras in Italia”. Tutta gente che vive il calcio come appartenenza [sic] e confezionare bandiere, striscioni, organizzare trasferte: cose del tutto lecite. Mica come il padre di famiglia che addirittura va allo stadio col figliolo perché gli piace il calcio, che volgarità. Ci vuole senso di missione per gridare un pomeriggio intero al ritmo del capetto di turno che se non fai quel che dice magari ti mena anche un po’. Ma cosa volete. Fa parte del calcio. Anche quello.
Ma nelle curve degli stadi, in nome di un motto reso popolare non da una trasmissione televisiva, ma da una certa politica del facciamo tutti quello che cazzo ci pare, che sta ancora (in parte) dove stava, si è fatto – per l’appunto – quello che cazzo si voleva. Tanta brava gente, tanta addirittura bravissima, che è il modo migliore per la delinquenza organizzata di infiltrarsi e invisibilizzzarsi che è la miglior maniera di fare, per l’appunto, quello che cazzo mi pare.
E’ dal 2020 che in questo paese le autorità preposte parlano di presenza di elementi legati alla criminalità organizzata nelle curve degli stadi, mica da ieri; elementi di criminalità che si mescolano a una militanza politica estremista che non ha poi troppo la puzza sotto il naso, per dire. Insomma magari vede anche che qualcosa non va, ma si fa i cazzi suoi, in onore al trend di cui sopra. Così che si scopra una certa “forte incidenza mafiosa”, criminogena o “ndranghetista” non è poi proprio quella sorpresa. Perché c’è un sacco di gente in giro, da quelle parti, e ci sono pure un sacco di soldi. Che servono anche a pagare biglietti d’entrata allo stadio. Sui quali ci sta pure che ci si faccia un ricarico, perché lo calcio è passione (oltre che maestro di vita – e di truffa per troppi), così c’è il rischio che il ricatto diventi tanto potente da essere costretti a “fornire biglietti per permettere di ampliare il giro d’affari”. E che grandi e gloriose società ci finiscano in mezzo. E il disastro è servito. E per fortuna c’è abbastanza coscienza civile per mettersi a collaborare, ma è un mondo difficile. Oltre che economicamente supergonfiato.
Quindi arrivano gli arresti e, senza misure di prevenzione serie, si ricomincerà dall’inizio, ma con più circospezione da parte dei delinquenti e con maggiore attenzione da parte delle società per individuare modelli organizzativi che prevengano i fenomeni criminali (e magari riescano anche a dare una calmata a quel mondo lì fatto anche di razzismo, omofobia, maschilismo, ignoranza, violenza, protervia, piccoli lucri, piccola delinquenza, disperazione sociale, quando non omicidi).
Insomma una storia tristissima del calcio come maestro di vita. Godetevelo.
(1 ottobre 2024)
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