di Essevi
Durante la conferenza stampa del 4 marzo scorso a Palazzo Marino il Garante dei diritti delle persone private della libertà personale Francesco Maisto ha evidenziato problematiche non nuove nei numeri delle carceri italiane e milanesi.
I rapporti nei numeri parlano soltanto delle carceri, escludendo tra l’altro gli altri centri di detenzione che sono i CPR, come quello di via Corelli: un luogo che andrebbe chiuso e che ha dimostrato più volte di essere inadatto alla sua funzione di transizione verso il rimpatrio, che avviene spesso in ritardo e nella più totale trascuratezza e sporcizia, con denunce di cibo avariato e malati non curati.
L’insensibilità dello Stato italiano nei confronti dei detenuti e delle detenute italiani è al suo apice nel fatto concreto che le strutture carcerarie che potrebbero accogliere al massimo quarantasettemila persone, ne rinchiudono quasi sessantamila, con un surplus di dodicimila e un organico di personale molto ma molto inferiore rispetto alle necessità di igiene, di sicurezza e che comporta stress e autolesionismo, che portano anche al suicidio. I numeri dei suicidi presentati dal Garante Maisto sono allarmanti, siamo già a quindici suicidi dall’inizio dell’anno, novanta in totale nel 2024, duemila tentati suicidi nell’ultimo anno.
Tutto questo non permette certamente una rieducazione dei detenuti e una riabilitazione sociale ma anzi, porta soltanto a peggiorare lo stato psicofisico nel quale versano le persone private della libertà personale. Il personale presente nelle strutture detentive arriva a essere, solo a San Vittore (Milano), inferiore del settanta percento rispetto al bisogno minimo per gestire una simile struttura con un numero di detenuti simile, mentre la media nazionale è del quattordici percento (sempre sotto organico). Sono sempre troppo lenti e troppo pochi i provvedimenti e i programmi per evitare il sovraffollamento, come gli arresti domiciliari, o la libertà vigilata connessa a lavori socialmente utili che possono reintrodurre nella società civile chi ha commesso reati.
Che senso ha dopotutto lasciare gente chiusa in una gabbia quando invece la si potrebbe mettere nelle condizioni di contribuire al benessere generale?
Le nostre carceri hanno perso quasi ogni funzione rieducativa, aumentando difatti la formazione di gruppi interni che poi commettono reati anche peggiori una volta usciti, l’ex detenuto italiano ha un’alta percentuale di recidiva, che avviene nel settanta per cento dei casi e rimane comunque un emarginato dalla società. Si deduce che il sistema carcerario e anche giudiziario, italiano, devono essere riformanti profondamente, senza alcun dubbio.
(5 marzo 2025)
©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata