di Conte Correnti
La perdita del sé conduce ad una dimensione che abbandona la logica e ci mostra la fragilità della nostra anima razionale. La dualità dell’esistenza: ordine e caos, divino ed umano, follia e saggezza. Follia come distruzione, ma ancora di più come mezzo di liberazione e di crescita.
Non sono baccanti classiche però quelle di Giulio Santolini, fin dal titolo, infatti, devono fare schifo con gloria. E ci riescono. Suscitano nel pubblico coi loro corpi in continuo movimento, col loro incedere ritmico e pulsante o scattoso e impulsivo, con la mescita dei diversi idiomi, con i balli tribali e i gesti omicidi, suscitano, da subito, nel pubblico, ignaro e curioso, mille stati d’animo contrastanti: nervosismo, eccitazione, angoscia, stupore, schifo e meraviglia.
Mariangela Diana, Ilaria Quaglia e Veronica Solari ci attendono in mezzo al palco, vestite di nero, tre abiti lisci che fanno subito cadere non appena l’ultimo di noi si siede.
I loro corpi nudi, ci accompagnano attraverso un passato che ha il sapore della catastrofe ambientale, un presente distopico, un futuro sicuramente imperfetto. Queste baccanti risvegliano però la città dal torpore dell’equilibrio, dal borghese perbenismo e quei corpi nudi di donna diventano essi stessi cattedrali dell’irriverenza, strumenti del rito, un rito che infonde conoscenza attraverso la follia. Sulla montagna si compie il sacrificio e qui, a morire, è lo stesso Santolini raccolto tra il pubblico e massacrato su una pira di spazzatura, su un altare ai piedi delle feroci sacerdotesse che, infine, ne fanno banchetto.
A cosa è servito reinventarsi le baccanti, costruire per loro una coreografia, farle ruttare e scorreggiare, imbrattarle, presentarcele mostruose eppur divine? Ma a cosa servono gli interpreti se non ad attualizzare, a render più comprensibile ciò che altrimenti rimarrebbe lontano? Oh se ne son viste di Baccanti, ma queste ci hanno preso per mano e ci hanno portato sul palco e con loro abbiamo intravisto un po’ di quell’estasi che nasce dal rito.
Il culto dionisiaco dava, nella tragedia, origine al teatro, qui è una lente per le disarmonie dei nostri tempi, per i contrasti e le brutture, per tutte le cose storte che è possibile leggere in quella spazzatura accatastata o nella rabbia di queste tre bravissime attrici, di queste tre donne.
Abbiamo visto l’ultima delle due repliche delle Baccanti al Tetro Fontana, mi rammarico d’essermi perso la prima quando, a seguito dello spettacolo, il regista Giulio Santolini, la drammaturga Lorenza Guerrini e la professoressa Martina Treu hanno discusso di istinto e controllo, individualità e massa, gloria e vergogna.
(25 aprile 2025)
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