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La nomina del Questore di Monza come scelta di campo

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di Effegi

La nomina di Filippo Ferri a questore di Monza non è soltanto una provocazione, ma un atto politico dal peso simbolico enorme. Parliamo di una figura condannata in via definitiva per i fatti della scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001, una delle pagine più buie della storia democratica italiana. Ferri non è un nome qualunque: è stato protagonista di un episodio che Amnesty International ha definito «la più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dalla Seconda guerra mondiale». Che oggi venga reintegrato e promosso a un ruolo di tale responsabilità desta sconcerto e legittima più di un sospetto.

La scelta di affidargli la guida della questura di Monza non può essere derubricata a semplice atto amministrativo. In un momento storico in cui il diritto al dissenso, alla protesta pacifica e alla libertà di espressione è sotto pressione, questa nomina sembra inserirsi in una strategia precisa: quella di normalizzare la repressione come strumento legittimo del potere. Le immagini delle manganellate agli studenti, degli sgomberi violenti, delle cariche alle manifestazioni di piazza non sono più l’eccezione, ma rischiano di diventare la regola. E a rendere ancora più inquietante il quadro è proprio il ritorno sulla scena pubblica di chi, nel passato recente, ha incarnato una concezione autoritaria dell’ordine pubblico.

Il messaggio che arriva è chiaro, ed è rivolto a chi manifesta, sciopera, contesta, studia o semplicemente osa criticare: lo Stato non dialoga, lo Stato reprime. E lo fa scegliendo come garanti della sicurezza pubblica uomini che si sono resi protagonisti di violazioni gravissime dei diritti fondamentali. Si potrebbe liquidare tutto come una provocazione o una svista, ma sarebbe un errore: questa nomina è un sintomo, l’ennesimo, di una trasformazione profonda nella cultura istituzionale. Una cultura che sempre più spesso mette la forza al posto della mediazione, la paura al posto della partecipazione, il controllo al posto della fiducia.

In una democrazia sana, il diritto al dissenso è sacro. Ma quando si legittima chi l’ha brutalmente represso, quel diritto smette di essere garantito. E a quel punto, non si tratta più solo di una nomina: si tratta di una scelta di campo.

 

 

(29 maggio 2025)

©gaiaitalia.com 2025 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 





 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 



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