di Conte Correnti
Grammelot. Suoni senza senso, ma simili a parole, a frasi reali. S’affastellano, si sposano alla mimica, alla tradizione dei giullari, s’accompagnano a un misto di dialetti. Si fanno lingua: un vernacolo che non esiste, ma chiaro, fatto d’una grammatica di gesti, ti toni, d’espressioni senza tempo.
È il teatro di Dario Fo e Franca Rame. É Mistero buffo. Sono verità, vangeli o vangeli apocrifi rivisti corretti e magnificati dalla penna di uno tra i più grandi premi Nobel del nostro Paese.
Lo confesso: non si fa, ma ieri, prima d’andarmene al Carcano, mi son rivisto uno dei Misteri Buffi di Dario Fo. Assomiglia, nei colori, alle immagini con cui Matthias Martelli ha aperto il suo spettacolo. Quei colori anni ’70 a me tanto familiari. Mi sono seduto convinto di dover fare una collazione, un confronto tra il grande maestro è il bravo interprete. Ma non è andata così. Martelli ci ha rapiti al suo Mistero Buffo. Un’ora che è volata, una mimica tattile, una interpretazione consapevole e propria, corredata da comici rimandi alla contemporaneità e una filologia chiara fin da subito: il teatro appartiene al popolo e di questo è anche il punto di vista nelle storie narrate.
Così ho lasciato il mio preconcetto sulla sedia, accanto al pieghevole e ho scoperto che Matthias ha saputo mettere anche qualche accento che a Fo era sfuggito o, forse, ce lo ha pronunciato meglio, dimostrando una profonda conoscenza del testo e dell’autore.
È difficile essere un giullare vestito di nero su uno sfondo nero, far ridere e riflettere interpretando tutti: dalla Madonna all’arcangelo, da Gesù all’ubriacone, ma Martelli non ha perso un tempo, neanche quando s’affaticava ad indossare le vesti di Bonifacio VIII intonando un improbabile, quanto credibilissimo, canto gregoriano.
Non so quanti attori girino l’Italia da anni con il proprio Mistero buffo, né mi chiedo se Dario Fo avesse bisogno di un erede, ma credo di non far torto a nessuno dicendo che il giullare Matthias Martelli abbia saputo, con questo spettacolo, “dileggiare il potere restituendo dignità agli oppressi” come recitava la motivazione del Nobel a Dario Fo.
Adesso non mi resta che tornare a leggermi il testo e, a voi, se potete, di rincorrere Martelli perché il suo Mistero Buffo va visto.
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(15 aprile 2025)
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