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Lombardia (non solo la Lombardia) avvelenata con fanghi tossici spacciati per fertilizzanti

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di M.M., #Politica

La regione Lombardia fino al 2017 aveva la possibilità di trattare fanghi di tantissimi tipo, dopo il susseguirsi di una serie di leggi regionali, nel 2017 una legge ha imposto di limitare i fanghi che potevano essere trattati.

La legge, positiva, però è stata utile per limitare il trattamento dei fanghi, ma nulla è stato fatto per quanto riguarda i gessi, che sono più pericolosi dei fanghi. Il gesso è ottenuto partendo da una matrice biologica classificata come rifiuto, i fanghi di depurazione appunto.  I fanghi di depurazione, attraverso particolari trattamenti (calcico magnesiaco, idrolisi alcalina, acido solforico), integrazione con additivi ed eventuale estrazione di metalli pesanti, diventano gessi che a quel punto magicamente non sono più considerati rifiuti e possono essere sparsi sui nostri campi. I gessi, inoltre, non essendo più un rifiuto non sono più regolati dalla Direttiva nitrati.

Quell’eventuale, peraltro costosa, eliminazione dei metalli pesanti, sta, tramite un escamotage normativo studiato semplicemente per risparmiare denaro a spese della salute pubblica, permettendo che i terreni si trovano intossicati da metalli pesanti e azoto in eccesso. Bisogna anche sottolineare come la trasformazione dei fanghi (rifiuti soggetti a tracciabilità) in fertilizzanti, faccia perdere l’obbligo della loro tracciabilità: non si sa dove e quando vengono sparsi ed è difficile fare i controlli.

Nel frattempo con la conversione in legge del decreto governativo per il disastro di Genova, (decreto legge 28 settembre 2018, n. 109) è diventato legge anche l’articolo 41.

Art. 41-Disposizioni urgenti sulla gestione dei fanghi di depurazione

Al fine di superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione, nelle more di una revisione organica della normativa di settore, continuano a valere, ai fini dell’utilizzo in agricoltura dei fanghi di cui all’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 99, i limiti dell’Allegato IB del predetto decreto, fatta eccezione per gli idrocarburi (C10-C40), per i quali il limite è: = 1.000 (mg/kg tal quale). Ai fini della presente disposizione, per il parametro idrocarburi C10-C40, il limite di 1000 mg/kg tal quale si intende comunque rispettato se la ricerca dei marker di cancerogenicità fornisce valori inferiori a quelli definiti ai sensi della nota L, contenuta nell’allegato VI del regolamento (CE) n. 1272/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 16 dicembre 2008, richiamata nella decisione 955/2014/UE della Commissione del 16 dicembre 2008.
Ovvero, l’art. 41 voluto dalla Lega e accettato dal M5S, allora maggioranza nel governo Conte 1, “per superare situazioni di criticità nella gestione dei fanghi di depurazione” per l’agricoltura, ha elevato ampiamente, per numerose sostanze tipicamente industriali e pericolose, i limiti che la Cassazione nel 2017 aveva indicato: in primo luogo, gli idrocarburi dove da 50 mg/kg si passa a 1000mg/kg (da cinquanta a mille, 20 volte in più).

Possiamo difenderci? Si, si può fare qualcosa a livello locale con appositi regolamenti comunali.

I Comuni possono approvare dei regolamenti, (come quelli scritti dal “Comitato tutela suoli agricoli lombardi”), che chiedono all’azienda che deve spandere i gessi di dire come, quando e dove deve farlo. In questo modo il gesso, non più soggetto all’obbligo della tracciabilità, (derivante da quel rifiuto che fino ad allora era stato tracciato), viene nuovamente tracciato.

Un’altra soluzione, che impegna però altri livelli istituzionali, potrebbe essere quella di prendere in considerazione la possibilità di mettere la gestione di questi impianti nelle mani pubbliche. Questo garantirebbe la sicurezza dei controlli, ponendo direttamente lo Stato a garanzia della salubrità pubblica.

 

(2 giugno 2021)

©gaiaitalia.com 2021 – diritti riservati, riproduzione vietata

 

 




 

 

 

 

 

 

 




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