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Caffaro Brescia, una vicenda gattopardiana dove nel 2022 a pagarne le conseguenze saranno ancora i cittadini

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di Massimo Mastruzzo*

Dal 2002 Caffaro Chimica è stata chiamata più volte con specifiche ordinanze a rispondere con interventi a sue spese. Sul penale, trattandosi di un Sin, e con quindi già il Ministero che si era costituito come parte offesa, il giudice, nel 2010 accolse l’istanza di archiviazione del pm perché il reato di disastro ambientale era in prescrizione.

Come al solito chi inquina ci guadagna e non paga; a farlo, sulla loro pelle, sono sempre i cittadini.

Già nel settembre del 2000, l’allora presidente della IV Circoscrizione, Maurizio Margaroli segnalò la fuoriuscita di mercurio che stava contaminando le acque. Purtroppo il pregiudizio nazionale postunitario ha colpevolmente condizionato il giudizio dell’opinione pubblica, che a queste latitudini ha trovato terreno fertile, grazie anche alla politica della Lega Nord che è cresciuta politicamente proprio usando cinicamente quel pregiudizio nazionale che vuole il brutto e cattivo solo altrove, solo nel sud Italia, ma rilevando di fatto come forza e peso politico ed economico di un territorio non sono anche garanzia di legalità.

Come scrive Marino Ruzzenenti nel suo ultimo libro ” Veleni Negati

Fu la pubblicazione di una ricerca storica a far scoprire ai bresciani, vent’anni fa, il disastro ambientale prodotto in città dalle industrie chimiche Caffaro con un inquinamento diffuso da diossine e PCB che i bresciani si ritrovano nel sangue a livelli che non ha riscontri in altri luoghi del Paese, pure feriti da un’industrializzazione scriteriata. Da allora inizia una storia, a tratti incredibile, di rimozioni e negazionismo. Non stupisce, quindi, che la mancata bonifica sia l’esito, paradossalmente inevitabile, di questa vicenda bresciana, emblema in verità di tanti casi molto simili degli altri quaranta siti inquinati di interesse nazionale: si tratta del “debito ambientale” accumulato dal Paese, di cui spesso parla il nuovo ministro della Transizione ecologica e che attende finalmente un nuovo vigoroso impulso perché venga davvero saldato, lasciando alle spalle due decenni di sostanziale incuria.

L’ex assessore all’Ambiente, Ettore Brunelli, ricorda che “Brescia era tutta contaminata da Pcb e diossine, perché aveva un carico industriale densissimo: ovunque il valore riscontrato era superiore a 1, ovvero al parametro di allora”.

Insomma, la  provincia di Brescia aveva uno strato di contaminazione di base che non si poteva ignorare e che derivava dagli effetti di un mix di attività industriali pesanti. Tanto che, quando La Loggia decise di bonificare l’asilo Lo scoiattolo, a Chiesanuova (non incluso nel Sin), asportandone il terreno, si consumò una vera caccia al tesoro:

“Da nessuna parte siamo riusciti a trovare una terra che avesse valori di Pcb inferiori a quell’1” ribadisce Brunelli. E infatti, alla fine, si utilizzò un terreno argilloso.

Oggi, nel 2022, poco o nulla appare cambiato, il quartiere è rimasto fermo al 2001 quando furono scoperte aree verdi, tra orti e giardini, che avevano un livello di diossine che oscillava tra 800 e mille (a fronte di un parametro massimo fissato a 10). dopo 20 anni c’è gente ancora esposta ogni giorno agli inquinanti, una condizione che non è accettabile, e per la quale è difficile trovare giustificazioni politicamente plausibili. Il paradosso, che diventa un dramma, nella denuncia dell’ex assessore – ora voce della Consulta per l’ambiente – Brunelli: “In queste aree si coltivano gli orti, è stata da tempo riattivata la catena alimentare, ma chi sta mangiando quei prodotti che livelli di Pcb ha nel sangue? Non si sa, perché non, sono stati testati”.

Dagli ultimi esami effettuati dai tecnici dell’Arpa è stato evidenziato come nelle acque sotterranee filtra ancora il Cromo, inoltre sono risultati parametri dell’inquinante tossico pari a 1.304 microgrammi per litro d’acqua nel pozzo 9 ubicato nel confine meridionale dello stabilimento.

Un aspetto che non può essere ignorato perché riguarda direttamente l’impatto nocivo sulla salute, un tema quindi che dovrebbe porsi per prima l’ATS, perchè va bene intervenire sullo stabilimento, ma le aree residenziali, la zona abitata che è tale e quale al 2001, non può essere abbandonata a se stessa, perché è lì che ci sono persone esposte tutti i giorni agli inquinanti, lì ci sono i bambini che giocano nei cortili e nei giardini delle case, lì dove si corre il rischio che a pagare con la propria salute sia l’inerme cittadino.

Per questo motivo come Equità Territoriale Lombardia chiediamo che venga avviato subito un progetto per la  bonifica e la messa in sicurezza permanente di tutte le aree inquinate esterne allo stabilimento: terreni agricoli, orti dei privati, giardini.

 

*Massimo Mastruzzo, Direttivo nazionale M24A-ET Movimento per l’Equità Territoriale 

 

(1 gennaio 2022)

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