di Conte Correnti
Ieri sera, dopo tanti anni, ho scoperto cosa successe Improvvisamente l’estate scorsa!
Confesso di non aver mai letto il dramma di Tennessee Williams, ma rammento bene quell’afoso pomeriggio d’agosto, decenni or sono, in cui guardai il film.
Una pellicola del 1959, un cast di lusso, una storia che poi, nel tempo, ho voluto rivedere una volta e un’altra ancora.
Non so dirvi quindi cosa assomigli di più alla resa che l’autore avrebbe voluto, certo è che Williams collaborò alla realizzazione del film, ma è pur vero che questo nacque, visti i tempi, con un’obbligata censura all’omosessualità e con un altro peccato originale: quello di essere troppo realistico a detta del drammaturgo.
Ieri al Carcano è stato diverso, abbiamo assistito ad una indagine interiore, come un sogno, una lunga seduta di psicanalisi che ha ipnotizzato il pubblico e ha indagato le menti dei personaggi, disvelando il protagonista che è – anche – tanta parte biografica ed emotiva dell’autore. L’omosessualità, la follia, le barbare pratiche della lobotomia sono tutte pagine della vita di Williams, drammi filtrati dal poeta e resi arte.
La didascalia iniziale, una scelta della regia che ho apprezzato molto, aiuta assai, ma sono forse la foresta (il giardino della casa) e la musica che accompagna tutto lo spettacolo ad accoglierci in questa ipnosi, alla ricerca della verità, che non è tanto il dove e il come della morte di Sebastian, ma l’amore della madre e della cugina per lui. Un amore che continua ad esistere per quanto impossibile.
Impossibile per Violet, che non può più condividere nulla col figlio ormai morto, ed impossibile per Catherine, che non ha condiviso con lui nulla di ciò che avrebbe sperato neanche in vita. Così, quella tra le protagoniste Laura Marinoni e Leda Kreider è una danza, non un alterco, ma un alternarsi, uno scambio di parole come di spazi occupati sul palco.
Un dramma “emotivamente autobiografico” diceva di questo testo l’autore, emozioni che la regia di Stefano Cordella ci ha saputo trasmettere tutte. Ma le lodi vanno estese a Guido Buganza per le scene e a Gianluca Agostini per i suoni e, forse, un contributo particolare va riconosciuto alla “doppia” sensibilità di Laura Marinoni che, anni or sono, interpretò Catherine per la regia di Patroni Griffi.
È stata la prima ed eravamo davvero tantissimi, ma avete tempo fino all’11 per gustarvi questo prezioso spettacolo di primavera: un dramma tutto al femminile (non me ne vogliano gli interpreti maschili Ion Donà ed Edoardo Ribatto) che ha saputo inchiodare il pubblico fino alla fine.
Da ultimo, ma soltanto per riservar loro un posto di primo piano, raccolgo le mie lodi per la stupenda interpretazione di Elena Callegari e per i costumi di Ilaria Ariemme: una cornice ricercata e poetica.
(8 maggio 2025)
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