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Di dolore, di Covid e di altre sciocchezze… #ilvenerdìpolitico

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di Luca Venneri, #ilvenerdìpolitico

“E’ un modo comodo di vivere quello di credersi grandi di grandezze latenti”. In questo modo Italo Svevo – nella ‘Coscienza di Zeno’- bacchettava il modernismo, l’industrializzazione e la psicoanalisi. La tesi era quella che l’uomo del suo tempo era presuntuoso fino al punto tale di credersi immensamente grande, borioso. Tuttavia, i grandi progressi del tempo erano reputati da lui come non sufficienti per determinare una nuova frontiera per il progresso umano. Svevo sosteneva che non si teneva abbastanza conto dell’essere umano, delle sue paure e delle sue umanità e delle, piccole e grandi, contraddizioni. In questo senso, il progresso era una ‘gabbia d’oro’. La scienza e l’ingegneria erano espressione di un’esaltazione che rendeva l’essere umano frustrato e triste, come Zeno appunto.

Oggi non è cambiato molto. Affidiamo le nostre speranze a tecnici, a ingegneri e crediamo che la tecnologia sia la risposta, ignorando quel rodere sordo fatto di paura e sofferenza.
In questo senso Byung-Chul Han – filosofo della comunicazione – ha ragione. Dice infatti che siamo, in buona sostanza, tutti affetti da una sindrome post-traumatica dettata dalla pandemia da covid-19: “Il mondo contemporaneo è terrorizzato dalla sofferenza. La paura del dolore è così pervasiva da spingerci a rinunciare persino alla libertà pur di non doverlo affrontare. Il rischio è quello di chiuderci a una rassicurante finta sicurezza che si trasforma in una gabbia, perché solo attraverso il dolore che ci si apre al mondo. E l’attuale pandemia, con la cautela con cui ha ammantato le nostre vite, è sinonimo di una condizione che la precede: il rifiuto collettivo della nostra fragilità. Una rimozione che dobbiamo imparare a superare”.

Seguiamo le notizie sugli infettati, i guariti e i morti con distacco e interesse. Il nostro distanziamento sociale comincia dalla nostra mente prima ancora che dalle nostre fisicità. Ci disaffezioniamo al dolore seguendo queste notizie che, in modo ossessivo, ci confortano nel pensiero che siano ‘cose esterne’. Sono cose che non ci appartengono. Rimangono distanti. La distanza è l’approccio che noi vogliamo applicare al dolore. In tutto questo discorso entrano i vaccini. I vaccini sono per noi l’uscita e la soluzione a questo dolore che, ripeto, noi vogliamo tenere più distante possibile da noi.

La vicenda della sospensione del vaccino di Astrazeneca è stata influenzata da tutto questo dolore collettivo e dalle conseguenti pressioni che, questo dolore, esercita sui governi, le industrie farmaceutiche e gli organismi di controllo quali l’EMA (Agenzia Europea del Farmaco). Per pressione sono stati creati dei vaccini in sei mesi al posto di due anni. Per pressione sono stati dimezzati anche i tempi medi di approvazione dei farmaci da parte delle agenzie. “Si deve fare in fretta e si deve fare bene”, a questo motto si è risposto a tutte le immense pressioni a cui i governi sono stati sottoposti.

Nel sistema non ci sono solo le pressioni ma, anche, la comunicazione. La comunicazione di questi giorni è stata allucinante. Sono stati spesi fiumi di parole. Io stesso, come tanti altri, ho letto chat infuocate e ascoltato discussioni infinite su clubhouse, mille post e altrettanti tweet. Tutti hanno detto la loro ma proprio tutti. Qui siamo di fronte, ancora, agli estremi confini della post-comunicazione dove tutti sono informatori e fruitori allo stesso tempo. L’informazione, in tal senso, è enunciazione dell’essere. ‘Io esisto se informo e posto sui miei profili’. In questo ‘sciame’ comunicativo emergono solo chi ‘la spara più grossa’, chi si rende più visibile ed emerge dalla massa o, in alternativa, chi spende di più nella sponsorizzazione dei propri contenuti. Il fenomeno del clickbaiting (acchiappa click) è noto ormai da tempo. Abbiamo ora abbastanza elementi per vedere in modo critico quello che sta succedendo. La pressione esercitata dal dolore collettivo e l’iper-comunicazione orizzontale hanno prodotto e alimentato incertezza e paura. La paura è un animale che si autoalimenta. Gli errori politici e comunicativi si pagano a prezzo altissimo. Infatti, molti hanno intenzione di rifiutarsi di fare il vaccino Astrazeneca.

Cosa dobbiamo imparare da questa vicenda?
Non ignoriamo il dolore, diamogli rispetto e parliamone. Abbiamo bisogno di esorcizzare il dolore e non possiamo vivere nella “grandezza latente” che il vaccino sia l’unica soluzione. Il vaccino guarirà il fisico, ci permetterà di uscire ma non guarirà l’anima ferita, il trauma e il dolore.

 

(19 marzo 2021)

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