di Alessandro Paesano #MixFestival twitter@gaiaitaliacomlo #Cinema
L’ultimo giorno di programmazione della 32ma edizione del Festival Mix di Milano ha visto oltre a una ricca selezione di cortometraggi (dei quali non parleremo), un documentario (pessimo) e un lungometraggio (quasi perfetto).
Queerama (t.l, panoramica queer) (Regno Unito, 2017) di Daisy Asquit è il peggior prodotto immaginabile della sotto cultura gay anglofona.
Daisy avendo a disposizione lo sterminato archivio del British Film Institute pensa bene di selezionare i materiali video secondo un criterio iconico, avulso da ogni contesto narrativo, storico, sociologico dei materiali originali limitandosi a giustapporre immagini in movimento con un criterio di selezione meramente tematico (tutti i baci, tutte le danze).
Daisy accosta fotogrammi presi da Caravaggio di Jarman (film queer) degli anni 80 a brani tratti da The Dead of Sister George di Aldrich (ne abbiamo già parlato) che è invece degli anni 60 e lesbofobo senza permettere al pubblico di distinguere (a meno che questi non abbia una cultura propria pregressa). Tutti gli estratti video sono presentati senza alcuna didascalia che li identifichi, riconosca o differenzi, senza audio e con un sound over di musica danzereccia contemporanea.
Cui prodest?
Proponendone un consumo pop queste immagini in movimento vengono appiattite, private di ogni loro portato che non sia quello di un un punto di vista malizioso.
Non tutti i film di cui si propongono degli estratti sono infatti di aperto argomento omosessuale, ma agli occhi di chi ha selezionato basta un gesto di tenerezza tra due amici o amiche dello stesso sesso per proporre quel gesto (e quel film) nella sfera dell’omoerotismo e presentarli nella selezione senza alcuna spiegazione.
Un’operazione discutibile che critichiamo non solamente nei suoi presupposti ma soprattutto nella volontà di non esplicitare da parte di chi quella selezione di immagini ha compiuto il criterio selettivo e il discorso sotteso.
Gli unici materiali scelta e proposti davvero interessanti sono quelli di una indagine televisiva degli anni 60 (presumiamo…), alcuni lacerti della quale si alternano nel documentario alle immagini musicate. In questa inchiesta persone omosessuali d’ambo i sessi vengono intervistate con domande intelligenti, mettendoci la faccia nonostante in quegli anni l’omosessualità maschile fosse penalizzata e punita con la reclusione.
Dopo 70 minuti di musiche da ballare su immagini appiattite su criteri estetici si rimane delusi dal fatto che tutto quel materiale selezionato non serva a compiere nessun discorso critico, nessuna comparazione storica, ma serva solamente a presentare una capitalistica e inutile selezione iconica consumistica e pop da vedere senza alcuno spirito storico.
Alla faccia del documentario!
Alla riprova di quanto diciamo, nei titoli di coda sono riportate prima le canzoni usate come collante tra queste immagini in movimento e poi i titoli di tutti i film e altri materiali visivi scelti, in ordine alfabetico, senza anno né autore o autrice.
E’ chiaro che chi ha fatto il film è più interessato alle musiche che ai materiali scelti.
Un documentario diseducativo nonostante il bignamino delle didascalie che verso la fine ricordano i momenti salienti della depenalizzazione dell’omosessualità nel Regno Unito, appiattendo e banalizzando immagini tratte da opere di caratura e provenienza politica totalmente diverse e antagoniste sciorinate a un pubblico che si presume sia più interessato a vedere un bel ragazzo nudo o una bella ragazza nuda che a chiedersi come quelle immagini, quei film, quei reportage televisivi, siano stati prodotti e recepiti allora.
Una proposta “culturale” pericolosa e al limite del revisionismo, forse più adatta agli schermi di qualche discoteca o altra sala da ballo piuttosto che allo schermo cinematografico figuriamoci quello di un festival a tematica.
Venus (Canada, 2017) di Eisha Marjara, è una commedia piacevole e sincera (a parte due grossolani errori di sceneggiatura) splendidamente interpretata e intelligentemente sviluppata che racconta dell’amicizia che nasce tra Sid un uomo di origini indiane sulla trentina vagamente effeminato e Ralph un adolescente che si presenta a Sid come suo figlio.
Nonostante vediamo Sid in abiti e dall’aspetto maschile in maniera improvvisa e per il resto del film la vediamo indossare abiti femminili e scopriamo che Sid, è una donna transgender che si preparara alla transizione di sesso.
Il cambio repentino disio (giustificato a malapena in un dialogo tra amiche nel quale Sid accenna al fatto che fino a quel momento aveva indossato abiti femminili solamente in casa – questo ma il film non ce lo aveva mostrato) serve come colpo di scena per mostrare la totale accettazione da parte di Ralph di questo padre transgender.
Il film ci raconta non solo dell’amicizia che nasce tra Sid e Ralph ma anche quella che nasce tra Ralph e la famiglia di Sid che non ha mai accettato veramente la transessualità del figlio ma per la quale il nipote Ralph (subito ribattezzato con nome indiano) costituisce un ponte tra madre e figlia.
Intano a Sid si riavvicina Daniel il suo ex che ha problemi a farsi vedere in giro con lei e a presentarla alla sua famiglia.
La famiglia di Ralph invece ignora che il ragazzo stia vedendo il padre biologico.
Quando la madre li sorprende in casa di Sid insieme (con Ralph vestito da donna, per gioco, sta provando gli abiti di Sid) la madre non reagisce in alcun modo al modo in cui Ralph è vestito (secondo errore di sceneggiatura) tutta presa com’è dal senso di colpa di aver nascosto al figlio l’identità del padre (Ralph l’ha scoperta leggendo di nascosto il diario della madre).
Nonostante queste due grossolanità di sceneggiatura (davvero imperdonabili perché rischiano senza volerlo di banalizzare tutto il portato della questione trans) il film non scade mai nella macchietta, anzi mostra in maniera intelligente il percorso di Sid più come figura genitoriale che come donna trans in transizione (anzi l’attore che la interpreta, Debalgo Sanyal, che non è trans, ha visibilmente una ricrescita della barba non celata,, nemmeno da un fondotinta).
Poco importa perché Sid sa il fatto suo e sa mettere al loro posto sia il fidanzato che si vergogna di lei sia la madre alla quale rimprovera che per accettarla come donna aspetta che lei si operi.
Attori e attrici sono in stato di grazia, il giovanissimo Jamie Mayers, che interpreta Ralph, una spanna su tutti e tutte.
Venus è una commedia che mostra come sia possibile accogliere le persone per quello che sono, senza tante etichette che dividono.
Sid si sente un padre per Ralph piuttosto che una madre anche se è una donna trans, identità che non le ha impedito di fare un figlio con la Madre di Ralph…
Una vota tanto famiglia biologica e famiglia d’elezione convergono verso lo stesso rispetto e l’amore reciproco di tutti i suoi membri.
Peccato che nel mondo reale non sia sempre così.
Un film da vedere e promuovere per il messaggio di accoglienza e speranza che diffonde con ironia e semplicità. Perfetto per un festival di cinema queer.
Venus ha vinto il premio come Miglior Lungometraggio con la seguente motivazione:
Un film capace di trattare con ironia e semplicità le tematiche relative all’identità di genere, alla genitorialità e all’autodeterminazione. È riuscito a narrare in modo brillante realtà troppo spesso relegate al dramma, qui invece trasformate in messaggio di speranza.
Gli altri premi sono stati:
premio per il Miglior Documentario a MR GAY SYRIA di Ayşe Toprak (Turchia, Francia, Germania, 2017, 84′).
Menzione speciale a BIXA TRAVESTY di Claudia Priscilla & Kiko Goifman (Brasile, 2018, 75′).
Premio come miglior cortometraggio a MARGUERITE di Marianne Farley (Canada, 2017, 19’).
Menzione speciale a CALAMITY di Séverine De Streyker & Maxime Feyers (Canada, 2016, 22’).
Il festival ha avuto un suo pubblico attento, numeroso, di ogni età, dimostrando, se ce ne fosse bisogno, della necessità di una manifestazione che va riempire un vuoto culturale imperdonabile.
(26 giugno 2018)
©gaiaitalia.com 2018 – diritti riservati, riproduzione vietata