di Giovanna Di Rosa #Milano twitter@milanonewsgaia #Lopinione
Il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana ha partecipato ieri sera al programma Carta Bianca di Bianca Berlinguer, dicendo incredibilmente, tra le altre cose condivisibili che ha dichiarato rispetto alle necessità anti-epidemia, che “c’era chi trattava questo virus come una banale influenza”. Tra quei “qualcuno” c’era anche lui, ma Attilio Fontana, come troppi leghisti, ha la memoria corta.
Non era l’unico. Anche se va detto che il 21 febbraio il governatore della Lombardia lanciò u’allarme; ma poi il suo segretario onnipotente lo sbugiardò il 27 febbraio quando disse “Bisogna riaprire tutto”. Anche Sala e Gori dissero qualcosa di simile forse lo stesso giorno, accodandosi a Salvini. Nessuno poteva immaginare quale catastrofe si sarebbe abbattuta sul nostro paese, così come nessuno nella cugina Spagna, regno della troppa superficialità – conosciamo bene quel paese, dove la nostra avventura editoriale è iniziata e dove siamo stati per diversi anni – poteva immaginarsi che in quattro giorni sarebbe successo ciò che è successo, senza che nessuno avesse fatto nulla prima. Nonostante i segnali dall’Italia e dalla Cina.
Se è vero, come si legge e si ascolta da troppe parti, che questo è il momento dell’unità nazionale e che ci sarà tempo per le critiche nel post-epidemia – mentre troppi si affrettano a dichiarare che l’Italia del post-coronavirus non sarà più la stessa senza essere in grado di spiegare i come e i perché, alcuni soltanto a fini politici – è vero che si dovranno capire molte cose: perché si giocò la partita Atalanta-Valencia, ad esempio – e non per incolpare il calcio, ma soltanto perché il calcio è l’unico evento in Italia capace di organizzare centinaia di migliaia di persone negli stadi di tutto il paese; perché si è deciso di salvare l’economia, ignorando – voglio pensare inconsapevolmente – i rischi per la salute pubblica? A parte le dichiarazioni di Fontana, come tutti i politici teso allo scaricabarile, è facile immaginare che tutti pensassero a guardare fuori dai confini ed a come alzare le Alpi di un paio di migliaia di metri per impedire agli odiati untori cinesi di entrare in Italia. O non si rendessero conto di cosa stava succedendo. Che per dei governanti è peggio.
Così tra battute sui mangiatopi, sugli untori altri, sui cinesi che ci contagiano; tra attacchi ai negozi cinesi, pestaggi ai cinesi, grida contro i cinesi dai mezzi d’informazione con giornalisti prezzolati al soldo del potente di turno, eccoci alle giornate in cui con il 40% in meno di contagiati rispetto alla potenza asiatica, l’Italia è diventata il paese con più morti per coronavirus al mondo e si è trovata a dover chiedere aiuto proprio alla Cina – perché siamo un popolo di svergognati boccaloni e scendiletto.
Nessuno, lo scrivo ancora, nessuno ha chiesto scusa in diretta televisiva per le idiozie dette su un’epidemia che non c’era e su un virus che era “poco più di un’influenza”. Tutti continuano ad apparire sui piccoli schermi dicendo ciò che tutti già sanno e tacendo quello che moltissimi, tutti i medici di base, per esempio, sanno già: cioè che ciò che vediamo del virus appena più pericoloso di un’influenza, è soltanto la superficie e c’è gente che muore in casa senza che sia dichiarata ufficialmente positiva al coronavirus.
Se poi vogliamo capire bene, al di là delle nostre banali osservazioni, ciò che succede nell’animo umano quando si percepiscono le prima avvisaglie di un’epidemia basta leggere “La Peste” di Albert Camus. Un libro straordinario. Dove ogni parola è verità pura.
(25 marzo 2020)
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