di Massimo Mastruzzo*
Sulla vicenda di Matteo Messina Denaro, risulta difficile credere possibile che nessun parlamentare, di qualsiasi forza politica, non abbia niente da ridire, non gli venga voglia di commentare, non sollevi almeno un sopracciglio rispetto alle accusa di omertà e copertura della latitanza del boss rivolta ai semplici cittadini di Castelvetrano, ignorando di fatto la condanna a sei anni diventata definitiva nell’appello bis, a Palermo, il 21 luglio del 2021 per concorso esterno in associazione mafiosa di Antonio D’Alì, ex senatore di Forza Italia (24 anni a palazzo Madama, nonché sottosegretario all’Interno dal 2001 al 2006 e sottosegretario dal 2001 al 2006 del Ministero del governo italiano che ha competenza sull’ordine pubblico nella sua qualità di massima autorità nazionale di pubblica sicurezza), accusato di avere “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra”.
Possibile che nessun parlamentare abbia notato che l’accusa aveva definito l’imputato “il politico a disposizione dei Messina Denaro, prima del vecchio don Ciccio e poi del figlio Matteo…”. E lo aveva accusato di aver “contribuito al sostegno e al rafforzamento di Cosa nostra, mettendo a disposizione dei boss le proprie risorse economiche, e, successivamente, il proprio ruolo istituzionale di senatore” – Giornale di Sicilia del 14 dicembre 2022.
Nessun parlamentare, e tralascio i vari talk show con gli inviati che cercano scoop intervistando i passanti di Castelvetrano, ha sollevato il dubbio che più che il fornaio del paese, il meccanico, la fioraia, fosse anche tra le righe di quella condanna che si dovesse cercare un qualche ruolo nella copertura della latitanza di Matteo Messina Denaro e che la politica dovrebbe dare risposte su quelle possibili coperture.
Basterebbe davvero un sopracciglio sollevato per ridare un minimo di credito a quella classe politica che volta lo sguardo altrove per non osservarsi dentro.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(22 gennaio 2023)
©gaiaitalia.com 2023 – diritti riservati, riproduzione vietata