di Massimo Mastruzzo*
Al Policlinico San Marco di Zingonia, in provincia di Bergamo, di proprietà del gruppo San Donato, si può accedere direttamente al pronto soccorso pagando 149 euro. Si, alla modica cifra di 149 euro si può saltare la coda per tutti quei casi a cui un triage pubblico assegnerebbe codici verdi o bianchi, con conseguenti attese di ore. In sostanza la stessa modalità della promozione offerta dal vicino parco divertimenti Gardaland.
La scusa è che l’offerta promozionale “Salta la coda” (che la mia immaginazione visualizza in un paziente che, contanti alla mano, appena arrivato al pronto soccorso, scavalca un altro paziente che è lì in attesa da ore), sarebbe stata pensata per rispondere alle difficoltà delle reti di medicina territoriali emerse tragicamente nell’emergenza covid.
Secondo le ultime stime sarebbero infatti 30mila i cittadini privi di un medico di base e anche l’Ats per mesi ha lamentato la carenza di personale. Io stesso, al momento, a seguito del pensionamento del mio medico di base, mi ritrovo, al momento, senza un medico. Scoprire che la soluzione pensata per risolvere l’emergenza della mancanza di medici di base, sia far pagare 149€ ai pazienti rimasti senza, appare paradossale: non solo il danno di ritrovarsi dalla sera alla mattina senza un medico, ma anche la beffa di vedersi offrire come soluzione il pronto soccorso alla modica cifra di 149 euro. Il gruppo privato San Donato con questa iniziativa intende semplicemente lucrare sulle inefficienze del settore pubblico, creando peraltro una disparità di trattamento tra pazienti che diventano “di serie A” e “di serie B” a seconda della loro disponibilità economica.
In Lombardia il servizio sanitario pubblico ha ormai ceduto il passo al privato.
Il Veneto non è da meno: è una delle regioni che ha chiuso il maggior numero di pronto soccorso in Italia. Dal 1997 al 2020 sono passati da 69 a 15, un taglio spaventoso avvenuto negli anni in cui la Lega del presidente Luca Zaia ha governato la sanità veneta. Negli stessi anni sono state chiuse tutte le lungodegenze all’interno delle strutture pubbliche e rimangono soltanto quelle nel privato. Complessivamente, i posti letto nella sanità pubblica sono diminuiti e quelli nel privato accreditato sono aumentati.
Ma nulla avviene per caso, il percorso verso il privato è stato intrapreso da anni a discapito di quella pubblica da una determinata area politica che spinge verso la privatizzazione della sanità cercando di far passare, ad esempio, il concetto che i medici di famiglia sono un concetto anacronistico, non servono più, basti ricordare le parole pronunciate nel 2019 al Meeting di Comunione e Liberazione di Rimini dall’allora sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, il leghista Giancarlo Giorgetti, traslocato dal Ministero dello sviluppo economico del governo Draghi al Ministero dell’Economia e Finanze del neonato governo Meloni: “Nei prossimi anni mancheranno 45 mila medici di famiglia, ma tanto chi ci va più? Chi ha almeno 50 anni va su Internet e cerca lo specialista. Il mondo in cui ci si fidava del medico è finito. Senza offesa per i professionisti”.
A smentire quanto sostenuto da Giancarlo Giorgetti ci sono però i dati dell’Istat: in media il 74% delle persone da 15 anni in poi fa ricorso al medico di famiglia almeno una volta all’anno (con una media di 1,2 contatti l’anno) ma si sale al 90,9% se si considerano solo gli ultrasessantacinquenni.
*Direttivo nazionale MET
Movimento Equità Territoriale
(27 agosto 2023)
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