Ed ecco iniziata la rincorsa al salto della premier. Prima di essere nuovamente acclamato, come candidato unico mica come premio nobel del leghismo, segretario della Lega dal suo partito sono iniziate le bordate alla presidente del Consiglio. Il gotha del leghismo filo Trump, pro Musk e Putin-Friendly – e hanno il coraggio di chiamarsi democratici – ha avvisato Meloni che le regione del Nord sono della Lega, non per voti ma per diritto divino.
Non hanno spiegato se per prendersele andranno alla conquista delirata da JD Vance per la Groenlandia (territorio europeo) o se faranno parlare le urne, che parlano da tempo, con la Lega che che nemmeno moltiplicandosi per tre raggiunge i voti di Fratelli d’Italia che pure comincia a passarsela meno bene. Le preoccupazioni interne si sommano alle preoccupazione esterne e Meloni non sa bene cosa fare, e ci sia consentito sottolineare che si nota.
Oggi sembrerebbe che la Lega sia disposta a far cadere il Governo, del resto una simile compattezza di inutilità e incapacità può implodere soltanto dall’interno, per autodistruzione, in quella che sarebbe una spallata dalla quale Meloni potrebbe anche non risollevarsi. Ma c’è motivo di dubitare che la Lega farà saltare in aria il banco, soprattutto perché a beneficiare di questo gran casino sarebbe Antonio Tajani che si ritroverebbe con un partito moderato che, moderandosi, potrebbe avere un grande risultato elettorale a portata di mano.
Piantedosi tace. Almeno lui.
(6 aprile 2025)
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