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“Inequalities”: cartografie del dislivello umano. 24ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano

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di Effegi

C’è un tempo per celebrare e un tempo per interrogare. Un tempo per esporre e un tempo per esporsi. La 24ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano, aperta fino al 9 novembre, sceglie quest’ultimo approccio: si intitola “Inequalities” e, fin dal titolo, non promette consolazione. Non cerca un tema attraente, un’estetica da rivista o un’idea da museo-giocattolo, ma chiama all’appello le dissonanze, le fratture, le asimmetrie più profonde del nostro presente.

Disuguaglianze: una parola che suona familiare, ma che si lascia raramente osservare nella sua complessità visiva e spaziale. Non è una parola astratta, benché venga spesso trattata come tale. Non è un concetto riservato agli economisti o ai sociologi. È materia viva, esperita ogni giorno nei corpi, nei linguaggi, negli oggetti, nei gesti, nei confini che segnano lo spazio umano.

È su questa materia — ruvida, instabile, infiammabile — che si muove “Inequalities”. La Triennale diventa un laboratorio aperto, un paesaggio stratificato, un corpo vibrante che ospita mostre, installazioni, progetti site-specific, esperienze partecipative e dispositivi visivi provenienti da tutto il mondo. Architettura, design, arte, fotografia, video e parola scritta si incontrano in un intreccio polifonico che non si accontenta della denuncia ma cerca la tensione: quella tra rappresentazione e presa di coscienza, tra estetica e responsabilità, tra il guardare e l’essere guardati.

Un atlante emotivo e geopolitico

Ogni sezione, ogni installazione, ogni gesto curatoriale parte da una constatazione semplice e scomoda: il mondo non è uniforme. Non lo è nei diritti, nell’accesso al sapere, nella distribuzione delle risorse, nella libertà di movimento, nell’educazione, nella salute, nella qualità dell’abitare, nel tempo da dedicare a sé. Non lo è nei sogni, nei desideri, nelle possibilità.

Ma “Inequalities” non si limita a denunciare questo stato delle cose. Lo esplora, lo visualizza, lo rende presente in forme a volte fragili, a volte feroci, sempre ambigue. Le disuguaglianze vengono scomposte e ricomposte in mappe sensibili: c’è chi racconta la desertificazione e il collasso ecologico come disuguaglianza ambientale; chi riflette sulle nuove schiavitù digitali; chi porta in scena le architetture invisibili dell’emarginazione urbana; chi espone i limiti strutturali della democrazia.

C’è anche chi, con ironia, mette in crisi il concetto stesso di “soluzione”. Perché alcune disuguaglianze — ci suggeriscono molte delle opere — non si cancellano con l’innovazione tecnologica né con le buone intenzioni. Sono inscritte nei codici stessi con cui il potere si esercita: nella burocrazia, nel linguaggio, nella legge, nel mercato dell’immaginario.

Il design come dispositivo critico

Uno dei nuclei più potenti dell’esposizione riguarda il design. Non più inteso come disciplina risolutiva, ma come strumento di svelamento. Il design — spesso celebrato come motore di progresso — qui viene interrogato per il suo ruolo ambiguo: artefice tanto dell’accessibilità quanto dell’esclusione. Può disegnare ponti, ma anche barriere. Può rendere visibile ciò che è stato nascosto, ma può anche confezionare narrazioni addomesticate, estetizzando la sofferenza.

In “Inequalities”, molti progetti di design diventano specchi deformanti: costringono il visitatore a confrontarsi con ciò che non voleva vedere. Oggetti che denunciano, spazi che segregano, dispositivi che parlano di chi resta fuori dalla festa. La riflessione si allarga fino a coinvolgere la funzione sociale stessa del designer: progettare per chi? Da dove si guarda il mondo, quando si disegna per esso?

Triennale come organismo critico

Non si tratta, insomma, di una mostra da percorrere distrattamente, col biglietto in mano e lo smartphone pronto. “Inequalities” è un’esperienza che chiede tempo, attenzione, fatica. Non è costruita per il comfort del visitatore, ma per metterlo a disagio in modo costruttivo.

La Triennale si trasforma in un organismo critico: ogni sala, ogni passaggio, ogni accostamento di opere è parte di un racconto complesso, a tratti dissonante, volutamente incompiuto. È un’architettura dell’inquietudine, un montaggio di voci che non cercano l’accordo ma la moltiplicazione delle prospettive.

C’è anche una volontà forte di evitare la trappola del “noi” universale. Le disuguaglianze non colpiscono tutti allo stesso modo, e nemmeno tutti possono parlarne con la stessa legittimità. Alcune opere mettono in discussione il ruolo dell’istituzione stessa, ricordandoci che anche lo spazio espositivo è carico di privilegi, selezioni, visibilità e silenzi.

Uno spazio per la possibilità

E tuttavia, nella sua radicalità, “Inequalities” non è una mostra nichilista. L’esposizione non chiude porte, ne apre. Non rinuncia al sogno di un mondo meno diseguale: lo rende visibile nelle sue contraddizioni. In molti progetti si affacciano strategie di resistenza, nuove forme di coabitazione, economie solidali, pedagogie alternative, pratiche artistiche come forme di cura collettiva.

Alla fine del percorso, il visitatore non riceve un messaggio univoco, ma un invito aperto: riconoscere la complessità, non smettere di chiedere, scegliere da che parte stare.

“Inequalities” non è uno specchio, è una fenditura. Sta a noi guardarci attraverso.

Collaborazioni internazionali e multidisciplinarità

Un altro elemento distintivo di questa esposizione è la rete di collaborazioni che Triennale Milano ha attivato: università, centri di ricerca, organizzazioni non governative e collettivi artistici da più continenti si sono uniti per creare un evento che va oltre la mera esposizione. Ogni progetto nasce spesso da un lavoro sul campo, da un’interazione diretta con comunità locali, in un dialogo che abbatte le barriere disciplinari e geografiche.

Questo approccio multidisciplinare arricchisce la mostra di prospettive inattese, ad esempio attraverso workshop, incontri pubblici e laboratori che permettono al pubblico di partecipare attivamente al processo critico e creativo. Non è una mostra passiva, ma un’esperienza viva e in divenire, che si evolve giorno dopo giorno.

Un’occasione per ripensare il presente

“Inequalities” arriva in un momento storico carico di tensioni globali: guerre, crisi ambientali, migrazioni, nuove forme di controllo sociale e tecnologico. L’esposizione non si limita a fotografare questi fenomeni, ma ne vuole essere un luogo di riflessione profonda, capace di mettere in crisi le narrazioni ufficiali e stimolare nuovi modi di pensare il rapporto tra individuo, società e ambiente.

L’invito è chiaro: guardare alle disuguaglianze non come a una realtà lontana o inevitabile, ma come a una condizione che ci riguarda tutti e che possiamo (e dobbiamo) interrogare, decostruire, trasformare. In questo senso, “Inequalities” non è solo una mostra d’arte o design, ma un laboratorio politico e culturale aperto a chiunque voglia misurarsi con le sfide del nostro tempo.

Dietro le quinte di “Inequalities”: il profilo curatoriale

Curare una mostra come “Inequalities” significa innanzitutto assumersi la responsabilità di costruire un dispositivo narrativo e critico che non si limiti alla semplice raccolta di opere, ma che definisca un quadro coerente di senso capace di dialogare con le trasformazioni sociali, politiche ed economiche globali.

La curatela di questa 24ª Esposizione Internazionale di Triennale Milano è stata affidata a una squadra multidisciplinare di figure di spicco nel panorama culturale contemporaneo: curatori, teorici dell’arte, esperti di design e architettura, attivisti e studiosi. Questa pluralità di competenze riflette la complessità stessa del tema scelto, che richiede uno sguardo sfaccettato, attento alle diverse declinazioni delle disuguaglianze e alle loro intersezioni.

Il progetto curatoriale ha preso forma attraverso un lungo processo di ricerca e confronto, che ha incluso workshop, dialoghi con comunità colpite dalle disuguaglianze, e collaborazioni con enti di ricerca internazionali. Il risultato è una mostra che non è un monologo ma un coro plurale: ogni opera, ogni progetto è inserito in un tessuto più ampio che vuole smascherare i meccanismi che generano esclusione e disparità, ma anche evidenziare strategie di resistenza e di trasformazione.

La curatela come atto politico e poetico

Nel manifesto curatoriale, si sottolinea che il curatore non è un mero selezionatore, ma un attore che plasma l’esperienza dello spettatore, orientando lo sguardo e stimolando la riflessione critica. In “Inequalities” questa funzione è declinata come atto politico: il curatore diventa una guida che non edulcora, che non mitiga, ma che accompagna attraverso le zone d’ombra del nostro presente.

Al contempo, la curatela ha un carattere profondamente poetico: le disuguaglianze non sono rappresentate solo come statistiche o fenomeni sociali, ma anche come emozioni, corpi, spazi e relazioni. È questa doppia anima politica e poetica a rendere la mostra un’esperienza immersiva e potente, capace di provocare una frattura nella percezione comune, aprendo a nuovi modi di sentire e pensare.

Un equilibrio tra universalità e specificità

Un’altra sfida curatoriale affrontata con cura è stata quella di bilanciare la dimensione globale e quella locale delle disuguaglianze. Se da un lato la mostra raccoglie contributi da tutto il mondo, dall’altro vuole mantenere un legame forte con il contesto italiano e milanese, dove le disuguaglianze si manifestano in forme peculiari.

Questo doppio sguardo evita sia il rischio di un discorso troppo astratto e generalizzante, sia quello di un’attenzione esclusiva a fenomeni locali. La mostra si configura così come un nodo di una rete internazionale, un luogo in cui le specificità diventano chiavi per comprendere i processi globali.

L’importanza della partecipazione e della collaborazione

Infine, la curatela di “Inequalities” ha voluto rompere con il modello tradizionale di mostra “dall’alto”: sono state promosse molteplici forme di partecipazione, coinvolgendo artisti, comunità, operatori culturali e pubblico in un dialogo aperto e continuo.

Attraverso eventi collaterali, tavole rotonde, laboratori e incontri, la curatela diventa un progetto condiviso e dinamico, che si evolve nel tempo e si nutre del contributo di tutti. È una curatela “orizzontale”, che riconosce il valore del confronto e della contaminazione come strumenti indispensabili per comprendere e agire sulle disuguaglianze.

 

 

(5 luglio  2025)

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